Questo post è brutto, si consiglia di andare direttamente all'immagine che fa ridere

Io sono una persona altamente influenzabile.
No, non è vero: faccio di testa mia, non ascolto nessuno e quando chiedo consiglio poi faccio comunque quello che voglio e/o faccio le domande in modo tendenzioso per ottenere la risposta che ho già in mente.
Però per alcune cose sono altamente influenzabile.
E sono un paio di mesi che leggo di gente in dieta che si ammazza in palestra e mangia passato di verdure e mozzarella e pomodoro.
Cioè dovete smetterla, seriamente. Mi fate sentire in colpa.

Però non c'ho voglia, non ho la capacità di sforzarmi. Io sono di quelle che deve dimagrire praticamente da sempre ma non fa niente per farlo se non lamentarsi. Non sono mai riuscita a fare una dieta perché non resisto, perché mi piace il pane io amo il pane, perché non posso mettermi a cucinare roba a parte solo per me che qui ne va dell'equilibrio familiare, perché mi piace cucinare e fare esperimenti che poi voglio assaggiare, perché io sono come quell'odiosa di Izzie Stevens che quando è giù fa i dolci e questo non è un bel periodo e io faccio dolci.

E allora niente, intanto provo con una convinzione pari a zero.

Sto cercando di mangiare un po' meglio il che vuol dire che mi trattengo a pranzo e cena, cerco di non toccare il pane (sigh), faccio spuntini in teoria sani, faccio dolci che so che non mi piacciono così mi tengo la sensazione di benessere del farli ma non li tocco. Ieri sono andata a fare la spesa e non ho comprato nemmeno una schifezza: non un cioccolatino, non un pacchettino di Pringles, niente. All'uscita non c'era nessuno a farmi l'applauso e sono rimasta molto delusa. Ho comprato le fette biscottate integrali per la mattina, e la farina integrale per fare i dolci così, come esperimento. Ho preso pure roba Vitasnella e cereali integrali Special K che pochi grassi bla bla ma secondo me è una fregatura perché sono troppo buoni. Vabbè, uno yogurt resta sempre uno yogurt.

Si nota l'entusiasmo?

Ho ricominciato ad andare in palestra, ho una scheda per impediti che prevede la metà/un terzo di quello facevo qualche mese fa, ma almeno ci vado.
Quando arriva l'ora, mi viene il male di vivere però poi quando torno a casa sono contenta, anche se poi sono lì e mi girano le palle perché posso fare poco. Approfitto dei 24 minuti sul tapis roulant per imparare a correre che è una cosa che proprio non sono capace e muoio dopo venti secondi, ma visto che mi è concessa solo camminata veloce e al massimo tre minuti di corsa riuscirò a fare qualche chilometro senza morire più o meno tra sei mesi.

Ho rivisto Davide, quello che ha spiato il mio nome sulla scheda e mi ha aggiunto su facebook ma non mi ha mai salutato. Ho rivisto la milf sudamericana color Beyoncé, alta tipo 1.80 col culo piccolo e sodo e il macchinone parcheggiato fuori. "Sono appena tornata da Miami però guarda non mi sono abronsata tanto perché s'erano solo 30° però dai melio di niente perché senò il bianco dell'inverno è proprio una tristessa". Ciao, sono quella che sta camminando-velocemente sul tapis roulant accanto a te (perché sono posso neanche correre, ovvio), quella che da tempo immemore viene soprannominata Casper e lampadina per il colore vivace. Mai visto il personal trainer così attento a seguire una sola persona.
Vabbè, fa niente. Ho rivisto anche il mio amore Simone in tutta la sua tamarraggine e con una serie di nuove canotte grige e nere però l'altro giorno l'ho sentito parlare da vicino e mi è un po' scaduto ma per fortuna c'ha sempre quel culo che parla. Madonna che discorsi.

Ah, Simone.


Una riflessione "profonda"

L'altro giorno ero boh non mi ricordo dove, ed è arrivata la solita zia Ciaooo guarda che grande sei diventata bla bla bla e ta-dàn ti strizza la guancia. Ma perché. Perché minchia perché la gente ti deve toccare. Le guance il braccio i capelli ma tenetevi le mani in tasca per favore che io le regole su chi mi può toccare le ho già stabilite.

Questa cosa però mi ha dato da pensare, perché sì occhei a tutti da fastidio la vecchia che ti strizza la guancia, ma io credo di essere proprio allergica al tocco umano.
Lasciamo stare fuori nel mondo esterno che c'è la gente sconosciuta e io di evitare il contatto sono contentissima, ma in famiglia no, sono arrivata alla conclusione che la mia famiglia non è normale e secondo me è perché sono nata dall'unica sorella frigida tra tre: vedo i miei cugini più o meno della mia età abbracciare ancora i genitori e darsi baci e dirsi "ti voglio bene", fratelli di 18 anni abbracciarsi tra loro, genitori lo stesso.
Io no: se mio fratello mi tocca mi sento a disagio, e sarà successo una volta negli ultimi cinque anni, se mia madre mi tocca i capelli o soprattutto il viso mi da fastidio.

Una persona è influenzata dall'ambiente in cui cresce no? Ecco, io non mi ricordo l'ultima volta che ho toccato mio fratello, probabilmente avevo cinque anni e stavamo facendo la lotta. Lui è uguale, scena tipica è mia madre che cerca di pettinargli i capelli e lui scappa. Non credo di aver mai visto i miei genitori in un atteggiamento diciamo affettuoso tranne un bacio a stampo di un secondo, una cosa mmmuà e via, ma ero talmente piccola che ho avuto anni dopo la rivelazione di cosa fosse quella cosa. Non so se si siano mai abbracciati, per non parlare del sesso: la mia politica è che i genitori non facciano sesso. Io esisto e anche mio fratello, quindi so che per forza almeno un paio di volte nella loro vita devono averlo fatto, ma non ci credo. Mia madre e mio padre, mmmh no, lasciamo stare.

Come posso io fare effusioni in pubblico o farmi toccare dalla gente ed essere affettuosa se sono cresciuta in un ambiente frigido?
No niente, alla fine è sempre colpa di mia madre.

Sepolti in casa: come tutto ebbe inizio

Il primo passo verso la guarigione è ammettere di avere un problema.

Io ho un problema.

Mi attacco sentimentalmente alle cose e poi quando devo buttare qualcosa mi viene l'ansia. Non so se è perché sono poverella e ho paura di non poter comprare altro o magari sono carenze d'affetto compensate dalle cose. Spero sia la prima perché nel secondo caso fra qualche anno verranno a trovarmi quelli di "Sepolti in casa".

Ogni tanto mi prende il guizzo (guizzo? guizzo) di riordinare e buttare perché boh, mi sembra una cosa bella, una cosa che si fa quando si vuole ricominciare e io voglio ricominciare. Allora mi metto alla scrivania, apro i cassetti uno alla volta e tiro fuori tutto con in testa ben chiaro l'obiettivo di eliminare e poi... Poi mi perdo a guardare e ricordare e va a finire che rimetto tutto dentro com'era prima. E non parlo di cose importanti, come il diario di Titti delle medie pieno di dediche, i peluche che avevo quando avevo 2 anni o il Mio caro diario, ma di cose brutte e che non hanno senso.

Ora però basta, ho deciso di cambiare.
Ho già eliminato soprammobili che erano in camera mia solo perché c'erano sempre stati: bambole di porcellana e bottiglie piene d'acqua colorata che qualcuno ha deciso io dovessi collezionare. Però sono regali e sono costati soldi quindi a buttarli mi sento in colpa, quindi sono finite nell'armadio, non è una vera eliminazione ma è pur sempre qualcosa.
Quello che ho veramente buttato, l'ho fatto un po' alla volta: diari mezzi scritti e mezzi no, spillette da appendere ai vestiti (quelle del 2003 che imitavano la moda degli anni '80), portachiavi, bracciali rigidi e collane trash portate a casa da lavoro e mai messe.

La cosa che mi fa più ansia però sono i vestiti: fino a poco tempo fa il mio armadio era pieno, facevo fatica ad aprire i cassetti e spostare gli appendini per vedere meglio le cose era impossibile, non c'era posto.
Non è che io avessi tanti vestiti, è che non buttavo niente dai tempi delle superiori e avevo anche alcune cose delle medie. Adesso sono riuscita a liberare un pochino di spazio, ma se dovessi veramente buttare tutto quello che non porto e non mi piace più o non mi va più bene dovrei eliminare un'altra metà della roba. Per fortuna sono spinta dal progetto Michela diventa una persona grande in cui una grande parte riguarda me che smetto di vestirmi come una barbona quando sono in casa e come una 16enne in jeans e maglietta quando esco.

È che scegliere è difficile.
Voglio dire, prima dell'estate ho preso il giubbino in jeans delle medie, gli ho staccato il colletto e ho stracciato un po' la tela, ci ho attaccato delle borchie sulla parte sopra, l'ho portato tantissimo e dopo due mesi ne è uscito uno identico su Zara. Alla fine il pensiero è sempre quello, "non si sa mai". Due anni fa se me l'avessero detto non ci avrei creduto che avrei rimesso un giubbino in jeans, neanche morta. E allora potrebbe succedere di nuovo con altre cose, potrei dover ricomprare cose che avevo già.

Ho iniziato dalle cose più ovvie: maglioni bruttini "per stare a casa", pigiami vecchi, camicie bianche rovinate, t-shirt poco serie ma ormai piccole, jeans che mi stanno male.
Devo fare una parentesi su un paio di jeans in particolare: regalo dei 18 anni di mio fratello, Dondup con vita bassa e strappi sul davanti, portati talmente tanto che ho dovuto metterci una pezza sul cavallo perché gli strappi si erano allargati e mi si vedeva il culo. Ecco,  poco tempo fa ho perso qualche chilo e tutta contenta li ho rimessi: una traggedia. Ogni superficie riflettente mi diceva la stessa cosa: come hai fatto per anni a portare questi jeans senza renderti conto di come ti stanno dimmerda? Però non li ho buttati, li ho piegati, imbustati e messi via tra le cose a cui voglio bene, quelle che so benissimo non metterò mai più ma non posso buttare.

A scriverlo sì, ho eliminato un sacco di roba negli ultimi mesi e sembra sia stato facile, ma ognuna di queste cose è sostata sulla scrivania, sulla sedia, sul puff, dietro la porta per un tempo indefinito, finché non mi sono stufata.
E non ho ancora finito.
Ieri ho tirato fuori tre maglioni pesanti da eliminare: uno a righe nere e grigie che mi piacerebbe ancora, ma è in puro poliestere vergine e si è accorciato, uno viola a righe fucsia e uno grigio con davanti dei rombi rosa e fucsia.
ORA: uno è piccolo e ok, gli altri due sono viola e fucsia e rosa e a rombi e quando mai io potrò mai volere indossare di nuovo della roba viola e fucsia e rosa e a rombi? Mai, eppure anche stavolta non ce l'ho fatta a mettere tutto nella borsa da dare via, ma li ho solo spostati dal cassetto alla scrivania e oggi dalla scrivania all'armadio in corridoio.
Prima di sera ce la farò.

Magari domani.

Michela coraggio e le lenti a contatto

Un sindacato, un sussidio, una pensione, un centro gratuito stile centro anziani dove passare il tempo.
No, no. Noi siamo baciati dalla fortuna, privilegiati, possiamo vivere esperienze che alle persone normali sono precluse.
Noi, ragazzi dello zoo delle lenti a contatto.

Una vita con giornate a scadenza: giornate di 8-10-12 ore a seconda di quanti soldi scegliamo di spendere nelle nostre lentine, i ricchi oltre ad avere i giochi più belli, i vestiti più belli, le piscine più grandi, le macchine più potenti, possono anche rimanere tanto tempo fuori casa.
Una vita di sofferenza, perché ci sono momenti in cui non hai con te gli occhiali, non hai lacrime artificiali, non puoi andare a casa e non ti resta altro che resistere con la sensazione della sabbia negli occhi.
Una vita triste, a pensare a cose deprimenti per farsi venire le lacrime e inumidire gli occhi per provare un po' di sollievo.
Una vita di sfide continue per non rompere con le unghie quella sottile membrana mentre la pulisci con il polpastrello.
Una vita al limite, sul filo del rasoio, perché dai, non mi danno tanto fastidio cosa succederà se queste lenti mensili le porto 40 giorni.

Ma ne vale la pena, quante avventure possiamo vivere noi, solo noi.

I casini iniziano subito, perché le lenti ci tengono a farti sapere fin dall'inizio con chi hai a che fare. La confezione originaria con chiusura in tipo alluminio dev'essere per forza antiscasso, che all'inizio tiri piano piano per non spargere ovunque la soluzione salina, però non riesci ad aprirla, allora tiri un po' più forte sempre più forte finché ti si apre di colpo e ciao ciao l'acqua ti finisce tutta addosso e la lente chissà dove.
Una volta ho messo un post it sullo specchio che diceva ho perso una lente NUOVA e l'ha ritrovata mia madre, appesa ad una piastrella del bagno due metri più in là.

Il senso di smarrimento quando prendi la scatolina con dentro le lenti e il tappo con scritto LEFT è a destra e quello con scritto RIGHT è a sinistra: avrò messo via le lenti guardando i tappi - e quindi a rovescio - oppure "giuste" cioè al contrario dei tappi? E allora provi a metterle, ti guardi allo specchio chiudendo prima un occhio e poi l'altro, provi a guardare in lontananza ma no, mi sa che così sono sbagliate perché vedo strano, le togli e le metti all'inverso e sempresempresempre ci vedi peggio e quindi era giusta la prima opzione.
Che poi, signori produttori di lenti a contatto, la vogliamo fare una scatolina ok bianca, ma con le scritte destra e sinistra in un colore a contrasto? Che io già ho perso mille diottrie, non ne voglio perdere altre per leggere il bianco su bianco. Come? Dovrei distinguere la destra dalla sinistra senza dover leggere il tappo? Seh, ciao.

E la soddisfazione profonda che ti coglie quando sei lì piegata in avanti che ti stropicci gli occhi per togliere le lenti con la scatolina aperta, togli tutte e due le lenti e contemporaneamente CANESTRO: finiscono entrambe nel loro buchetto e tu vorresti correre da chiunque per condividere la tua vittoria ma non puoi perché tanto nessuno capirebbe.

A volte ti prende un grande senso di sconforto perché una lente ti cade sulla mano e l'altra boh, dov'è finita? Sul tavolo non c'è, non è per terra né appesa da qualche parte e ti strizzi l'occhio di nuovo ma no, non ci vedi quindi non puoi averla ancora addosso e non la trovi da nessuna parte. Poi la mattina dopo ti svegli, senti un piccolo fastidio all'occhio ed eccola là, piegata in due sotto la palpebra in fondo in fondo, con te fin dal primo momento.

Siamo supereroi, noi che ci ficchiamo le dita negli occhi, avviciniamo oggetti appuntini e sgocciolanti senza problemi, alziamo le palpebre per controllare che non ci sia niente di strano e non abbiamo paura che la lente scivoli dietro la palla dell'occhio.
Un premio, io un premio lo voglio.

Voglio una società basata sulla ricompensa

Stavo pensando alle lezioni di storia fatte alle elementari e alle medie, quando quello che studi è soprattutto come si vestono gli Assiri, le tecniche che usano gli Egizi per aspirare il cervello dal naso ai morti e quanto i Romani mangiano e fanno festa.
Ma in quegli anni in pratica si studiano le basi della società e della civiltà. Ecco. Stavo pensando che la nostra società è completamente sbagliata: voglio una società basata sulla ricompensa.
Se per ogni nostra vittoria ci fosse un'immediata ricompensa, un piccolo premio, un gadget che ci dice "Yaaay brava/o, continua così!" penso che saremmo meno acidi, più sorridenti e magari (noi donne) anche meno lunatiche e permalose durante la PMS.
Per esempio, io sabato ho fatto degli gnocchi con la zucca che erano una cosa spettacolare e cos'ho ottenuto? Un "Diego sono buoni?" - "Mah sì, mangiabili" da mio fratello. E se dico che erano spettacolari lo erano, perché io sono la prima che trova duemila difetti a ogni cosa che faccio. Sì occhei lui scherzava, ma non avrei avuto una giornata migliore se poi avessi trovato un cioccolatino sul cuscino? (Lindor rosso, grazie)
Ma sono tanti i gesti quotidiani per cui meriteremmo un premio. 
Pulire il bagno, a chi piace pulire il bagno? A nessuno: ti fa rovinare lo smalto, se usi i guanti ti si lessano le mani e comunque è pur sempre un bagno e in quanto tale brutto da pulire. Ma anche essere gentili e rispondere alle millemila domande di quelli che telefonano per fare un sondaggio pregandoti di rispondere così prendono la percentuale. Non dimenticare l'ombrello in giro, riuscire ad arrivare in un posto senza perdersi e senza navigatore, vestirsi in modo decente anche se non si deve andare in nessun posto in particolare, mettere lo smalto bene e senza sbavature e non doverlo cancellare dalle dita con il cotton fiocc.
Magari per ogni azione ci potrebbe essere una ricompensa correlata: come dice la Zitella, non si può fare che ogni volta che hai voglia di mangiare un muffin e non lo mangi perdi boh, un centimetro di coscia? Mezzo chilo? Tre etti? Uno? Già solo questo salverebbe migliaia di donne dall'eterno malumore e la pazienza degli uomini che le devono sopportare. Vale anche al contrario ovviamente, che mica solo le donne fanno la dieta.
Poi ci sono quelle cose che invece meriterebbero proprio una ricompensa in denaro, una lauta ricompensa: inserire una USB dal lato giusto al primo colpo, aprire una scatola di medicinali non dalla parte del bugiardino. Quelle cose che sfuggono completamente alle leggi della probabilità. Minimo 10 euro dovrebbero darmi, per quell'unica volta in un anno in cui ci riesco.

Sì insomma, parlo di una cosa realistica.
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