Recensione di Shining

Ogni tanto mi prendono questi sghiribizzi di fare una cosa mai fatta (solitamente una stronzata inutile) e la prendo proprio come fosse una rivoluzione, un'innovazione mai vista prima, un grande cambiamento del mio essere.
Guess what? 9 volte su 10: no.
Queste sono le premesse con cui ho comprato il mio primo libro di Stephen King, il mio primo thriller/horror. L'ho detto a un sacco di persone, l'ho scritto ovunque, ho messo la foto su instagram. Come se fossi la prima persona al mondo a comprare un libro di Stephen King per la prima volta.
Avevo aspettative altissime: sia sul libro (immaginavo terrore puro ad ogni pagina, angoscia ingestibile, incubi notturni) sia su me stessa (mi vedevo già cambiata nel profondo, resa più coraggiosa dalla grande impresa che mi accingevo a intraprendere).

Aspettative disattese ancor prima di iniziare il libro, per colpa mia, quando mi sono resa conto che in realtà non era davvero il mio primo thriller/horror, dato che avevo già letto un bel po' di anni fa quasi tutti i libri di Faletti e pure un Jeffrey Deaver a caso (Il collezionista di ossa, proprio a caso forse il più famoso?). Come avrebbero fatto queste 600 pagine a cambiare la mia persona, se non era la prima volta che vivevo quest'esperienza? Ho deciso di non chiedermelo, e ci ho voluto credere lo stesso.

Ho iniziato super convinta, macinato pagine su pagine in un lungo pomeriggio di relax nella mia casetta, ma chiamiamolo con il nome che si merita, chiamiamolo isolamento necessario dopo una settimana di lavoro andata così così. Diciamo che il libro parte lento, e continua lento, e finisce lento, ma io leggevo leggevo leggevo spinta dalle altissime aspettative: volevo tantissimo avere paura e continuavo quindi a leggere super veloce più per la fretta di arrivare alla parte veramente spaventosa che per vero coinvolgimento nella storia.
Dove sto andando a parare penso si sia già capito. È stata un po' una delusione.
Io sono una pappamolle ma alla fine, di vero momento spaventoso ce n'è stato solo uno: [spoiler] quando Danny entra nella camera in cui è morta la ragazza nella vasca, e la ragazza morta esce dalla vasca e lo rincorre, e lui si rintana vicino alla porta e si sforza di pensare che lei non è vera, chiude gli occhi fino a tranquillizzarsi e a sentire solo silenzio, poi li apre e lei è lì davanti ai suoi occhi e lo sta strangolando [/spoiler] ecco LI' ho chiuso il libro e visto che era buio ed ero a casa da sola l'ho messo nel freezer come Joey di Friends perché già guardando verso le scale vedevo la signora morta sgocciolante nell'angolo*, e avevo paura che continuando a leggere peggiorasse.

Ma non è peggiorato, quella scena è stata per me il culmine. Continuando verso la fine del libro anzi mi è sembrato che il signor King l'avesse un po' buttata in caciara, con l'albergo che prende vita da solo senza nessun motivo, per non parlare del momento in cui i cespugli a forma di animale prendono vita, ecco lì ho proprio quasi riso. Dall'alto della mia grande esperienza di storie paurose avrei preferito sapere di più sugli omicidi avvenuti nell'albergo, che tornassero tutti i morti non solo la ragazza ma anche i gangster e le figlie dell'ex custode (le gemelle del film? Dove sono le gemelle nel libro? C'è solo un accenno! Ma devo ancora vedere il film poi ne riparliamo). Insomma Stepehn i morti che non sono davvero morti sono sicuramente più spaventosi dei cespugli che prendono vita, non so Stephen, se vuoi ti posso dare un paio di consigli.

Insomma un libro letto in tre giorni non assolutamente per merito del libro, che non mi ha cambiato nel profondo come speravo ma sicuramente adesso ci penso e riuscirò a trovare qualche significato per quest'esperienza.
*già in gioventù ero rimasta traumatizzata da The ring (unico film horror mai visto in vita mia, che i cultori del genere mi dicono non essere così spaventoso), e per due mesi DUE ogni volta che spegnevo la luce per andare a letto avevo continuato a vedere la bambina morta che esce dalla TV

I blog sono morti? Il mio ancora no

Ho aperto il mio blog oggi dopo mesi, non so nemmeno quanti, per controllare da quanto tempo non scrivevo qualcosa. Non scrivevo da così tanto che mi ero dimenticata che sul mio blog non c’è la data dei post. L’avevo tolta perché mi piaceva l’idea di pubblicare senza una collocazione temporale, in modo che sembrasse tutto consecutivo o tutto staccato, dipende dai punti di vista. 

Non scrivevo da così tanto che non mi ero accorta che c’erano dei commenti al mio ultimo post, forse non mi era arrivata la mail? Forse è passato così tanto che li avevo letti e mi sono dimenticata?
Mi sono resa conto anche che è molto tempo che non leggo un blog, soprattutto quelli fatti di tante parole, oppure apro e leggo una riga ogni tre come con i libri che non mi piacciono ma mi intestardisco a non abbandonare. Ma soprattutto non commento, e direi che guardando i numeri non sono la sola: ormai le conversazioni sono da altre parti, e anche quando capita di leggere il post, se ne parla poi su Instagram o su Twitter, dove la conversazione è meno unidirezionale.
Eppure gli argomenti ci sono, almeno per me: scrivo su Twitter praticamente ogni giorno, ogni tanto mi capita anche di parlare nelle storie di Instagram (quando non mi trovo troppo orrenda, quando la luce è propizia e i pianeti sono allineati) e molte di queste cose penso che potrei anche scriverle, avendo il tempo e la voglia di sedersi sul divano con le gambe incrociate e il portatile addosso (tipica posa del blogger).
Che poi non è vero che i blog sono spariti, sono spariti i nostri blog, i piccoli blog di noi comuni mortali” non professional, noi che l’abbiamo sempre fatto perché ci piaceva e non per lavoro o per divulgazione. Noi che facevamo un giorno la pagina di diario personale, un giorno la recensione incompetente di un film e quello dopo l’elenco dei prodotti del nostro beauty come se qualcuno ce l’avesse chiesta. Siamo noi ad essere spariti. Ma perché? A me piaceva il mio blog, mi piacevano gli altri proprio fatti come il mio: sempre vari, simpatici, un giorno seri e un giorno.
Ho deciso che tornerò a leggere i blog.
E magari tornerò a scrivere, tanto sul blog non ci sono le date e il post prima di questo posso averlo scritto anche l’altro ieri, che ne sapete voi.

Mi andava di scrivere una cosa

È domenica, ci sono 80 gradi fuori, 82 nel soppalco di casa mia. Quando cerchi casa nessuno te lo dice che d’estate rimpiangerai cose semplici come una bella finestra di dimensioni normali in camera, nessuno ti dice che 55 mq su 2 piani sono una stronzata. O forse te lo dicono ma tu sei giovane e stupido e vuoi che la tua prima casa sia come quelle dei film, con il letto in mezzo alla cucina che dopo due giorni le lenzuola sanno di carbonara, con il soppalco che se lasci qualcosa nell’altra stanza non la recupererai mai perché nell’altra stanza vuol dire fare le scale, con il muro di mattoni ruvidi che fa molto industrial ma così polverosi che se vuoi respirare devi vivere con il mini aspirapolvere in mano. 
Ho appena finito di guardare una commediola romantica su Netflix, niente di bello, è evidente che da quando Kate Hudson ha passato i 40 e si è data a partorire figli e fare yoga su instagram il mondo delle commedie romantiche non ha più senso di esistere. Nel film due ragazzi con le loro carriere appena avviate e super promettenti, ma per il momento fatte di umiliazioni, straordinari, stipendio basso, molto alcool per superare il tutto. Lui super ambizioso, sempre vestito elegante, un po’ stronzetto ma simpatico, lei carina ma imbranata, simpatica, per una festa elegante si mette il vestito di & Other Stories che tutte abbiamo provato a comprare l’anno scorso con le scarpe da ginnastica: /immedesimazione maximum level reached.

Un dettaglio simpatico? Simpatico in quel modo che inizi a ridere istericamente e la risata poi si trasforma in un pianto a dirotto e ti viene voglia di riempire la vasca e fare il bagno con il tostapane come Bill Murray, solo che non hai la vasca. 

Lei a 25 anni dice:
“Tutto quello che mi interessa è non essere ancora un’assistente quando avrò 28 anni, quello sarebbe davvero triste”
In Italia a 28 anni sei fortunato se hai un contratto di apprendistato e non uno stage. Di più, a 25 anni per un lavoro come quello non ti assumerebbero mai: assistente personale di un’importante giornalista sportiva senza un’esperienza nello stesso ruolo di almeno 5 anni? Giammai. Senza contare che la massima ambizione possibile sarebbe quella di avere un telefono aziendale con cui tenere più ordinati gli appuntamenti del boss, non certo farle leggere sottobanco un articolo scritto da te.

L’happy ending mi ha messo quella speranza nel futuro che mi hanno sempre regalato le commedie romantiche: la consapevolezza che succede a tutti, succede quella cosa che non si sa cos’è ma tutto si sistema, quella voglia di fare che per qualche minuto non vedevo l’ora fosse lunedì per arrivare in ufficio con il thermos di te freddo e rispondere al telefono, mandare mail, parlare alla macchinetta con il collega dell’altro ufficio, risolvere problemi, essere quella ragazza che esce dal lavoro e infila le cuffiette, si cambia le scarpe in macchina e va a fare la spesa, paga le bollette, vede un amico per uno spritz e poi va a casa e mangia sul divano guardando la tv fino a tardi, rendendosi conto che tanto male non è.

È durata circa 10 minuti, poi mi sono ricordata com’è davvero, e cioè che arrivi in ufficio e iniziano a dirti cose ancora prima che tu abbia acceso il computer, il caffè della macchinetta fa schifo, il collega ti risponde male perché deve sfogarsi, il capo ti dà la colpa di una cosa che doveva ricordarsi lui, mangi davanti al PC rispondendo alle mail e chiedendoti “chissà com’è avere un lavoro che ti piace”, il pomeriggio sei così concentrata che ti viene mal di testa e non ti accorgi nemmeno che è arrivata l’ora di staccare, esci e mandi una nota vocale esausta alla mamma che risponde “ma guarda che tutti i lavori sono così”, hai dimenticato le bollette a casa e al supermercato ci sono tutti gli over 70 della città, il tuo amico ti tira pacco, Netflix non carica l’episodio che vuoi e finisci per fissare il soffitto pensando “perché gli altri sì, e io no?”
E non hai neanche la vasca da bagno.

PS: il film è Come far perdere la testa al capo

Ma quanto è bello finire le cose

Ma voi ce la fate ad avere più di un prodotto della stessa categoria aperto nello stesso momento? Parliamo sempre di beauty, che dato che sono grassa al momento mi sto concentrando lì, ce la fate ad avere due creme idratanti aperte? Comprate i mascara per provarli e poi li tenete lì e li usate a giorni alterni a seconda di come avete voglia? Riuscite a dormire la notte sapendo di avere nel cassetto più di un fondotinta da usare nello stesso periodo? 

Io NO.
Mi viene l'agitazione solo a pensarci.

Io ho 1 crema, 1 fondotinta, 1 blush, 1 terra, 1 correttore, uno uno e solo uno di tutto. Compro una cosa nuova solo quando quella in uso sta per finire. Penso derivi un po' dall'educazione, perché questo è quello che faceva mia mamma, un po' dall'odio per lo spreco e anche un po' dalla tirchieria (molti cosmetici non sono più belli/efficaci passato un po' di tempo, e se ne hai più di uno li usi meno). 
Siccome il mondo è cattivo a volte per cause di forza maggiore mi è capitato di avere due creme aperte nello stesso momento: cioè, per esempio, quando mi è arrivato l'ordine di The ordinary non potevo mica lasciare lì tutto e aspettare due mesi per finire quello che stavo usando, no? Il mondo me lo chiedeva, l'UNIVERSO me lo chiedeva. Ho continuato quindi ad usare entrambe le creme, con sommo fastidio.

La cosa che mi da più fastidio, è che nel momento in cui decido di comprare la cosa nuova, quella vecchia, stronza malefica e sadica, decide di prolungare la sua vita all'infinito: avete mai notato che quando comprate il fondotinta nuovo perché quello vecchio, anche spremendo con la pinza non esce più, ecco, in quel momento lui si rigenera e sembra non finire mai?

Che poi, quanto è bello finire le cose? Ti da proprio l'idea di liberare spazio, ma senza quel senso di colpa e di sconfitta del decluttering, anche se poi andrai subito a riempirlo con una nuova boccettina.
Soprattutto quelle cose che non usi mai o che sono infinite: l'acqua micellare, lo scrub, LA CREMA CORPO.
Quanto è rilassante tagliare la boccetta a metà, poi in quattro parti, poi in sei otto dieci ottantacinque per spremere tutto lo spremibile, e poi buttare i singoli pezzi: bello rilassante liberatorio, mi fa sentire una persona migliore.

Ieri ho finito la crema viso: oggi sono una persona migliore. 
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